Ecco
la mia risposta, pubblicata in rete e su alcuni periodici, al delirio
senescente di Giorgio Bocca nella trasmissione di Fazio.
BOCCA…ccia mia statti
zitta…
Ogni
volta che si parla di Napoli, nel bene o nel male (ma molto spesso nel male, è
trendy) il cronista del momento, forse eccitato dal ruolo di pseudo storico che
si arroga, commette macroscopici errori. Io credo che un giornalista debba
prima accertare la veridicità delle notizie che propina al pubblico. Non è
importante che la sostanza sia “quella”; è importante che tutto sia armonico e
veritiero. Voglio parlare di un certo signore che si chiama Giorgio Bocca, il
quale afferma, da ”grande giornalista" che Napoli è “decomposta da
migliaia di anni...non da oggi, in balia della "plebe", del malcostume
e della corruzione a quanto pare impossibili da sconfiggere ed estesi alla
maggioranza della popolazione”. Il signor Bocca si lascia andare a sconnesse
affermazioni, più da alienato che da giornalista, del tipo “Beh i leghisti
dicevano forza Etna, forza Vesuvio"; fino ad arrivare all’apoteosi, e cioè
“Nascere a Napoli è un'immensa sfortuna...niente è cambiato rispetto a 20 anni
e nulla cambierà”.
No,
non voglio parlare di questo, di merda ce n’è già abbastanza, ci manca solo il
Bocca di turno… Non c’interessa chi aderisce al manifesto per la razza, o
faceva il littoriale, oggi strumentalmente sconfessato:
Voglio
parlare di chi mente sapendo di mentire e di chi sa cosa dire (o dovrebbe
saperlo; altrimenti ha sbagliato mestiere) ma non lo dice perché non gli
conviene. A mio modesto AVVISO, io che non sono uno storico né UN GIORNALISTA,
ma sicuramente una persona SERIA, credo che il cuneese (che dovrebbe avere una
cultura che va al di la della quinta elementare), al fine di mascherare
sentimenti negativi, razzisti e vergognosi nei confronti non solo della città
di Napoli, ma anche della Campania e dell'intero mezzogiorno, spara puttanate a
più non posso. Ma Giorgio Bocca è uomo d’onore e - non contento del veleno di
cui è intriso il suo libro “Napoli siamo noi” - torna a sparare a zero su
Napoli ed i napoletani. Nella trasmissione televisiva “Che tempo fa”, condotta
da Fabio Fazio, lo storico leghista vomita accuse di camorra, di corruzione e
di malcostume sulla gente partenopea, ma poi allarga il campo alla Campania ed
al Sud tutto. Per il 90enne Bocca, Napoli è una città decomposta da migliaia di
anni. Ecco la mistificazione. Qualunque storico (ma anche semplice studente)
sabenissimo cos’era la città di Napoli... e non dico migliaia di anni fa... ma
appena 300, quando la corte borbonica era invasa da artisti, uomini di lettere
e giuristi. Senza voler scomodare la corte e le opere di Federico II, lo
“Stupor Mundi” che nel 1224 fondò a Napoli il primo ateneo realmente laico e di
Stato... e che attirò docenti e discepoli da ogni parte d’Europa. Diamo uno
sguardo ai 150 anni di governo borbonico: Napoli capitale del regno, era una
delle città più popolate del mondo, rappresentava un rigoglioso centro di
scambi commerciali; mentre in Lombardia e Piemonte rifioriva la pastorizia, a
Napoli si suonava il violino e le nostre abluzioni avvenivano in case dotate di
sanitari, laddove i “valorosi” giussanesi si recavano, alla stregua dei paria,
al fiume (se c’era, altrimenti… foglie per pulirsi e radici per cibarsi). A Napoli
la prima ferrovia italiana, il primo orto botanico, le prime fogne ed il primo
cimitero dei poveri, quello detto delle “366 fosse”. La città di Napoli si
relazionava con l’Europa intera, basta dare un’occhiata all’enorme volume di
scambi commerciali con la Russia tra il 1777 ed il 1815, per avere un’idea
della politica commerciale ed industriale del Regno di Napoli. La città di
Napoli, con il suo porto, risultava essere un centro commerciale tra i più
attivi dell’intero bacino mediterraneo, calamitando l’attenzione di banchieri e
mercanti europei. Quando l’invasore piemontese (corregionale del Bocca) entrò
nel regno, trovò uno stato ricco, organizzato ed avanzato, sia sotto l’aspetto
commerciale, industriale e tecnologico. Sotto l’aspetto artistico possedeva un
patrimonio invidiato da tutto il mondo. Ma Giorgio Bocca, che è uomo d’onore,
ci dice che era, ed è, una città decomposta. Sarà forse la sua memoria di
ultra-novantenne ad essere decomposta. Le strade, le ferrovie e le
infrastrutture, nonché le industrie, del Regno di Napoli erano forse figlie di
una città decomposta? Certo che NO! Ad essere decomposta e criminale fu
l’azione piemontese che depredò il regno delle sue ricchezze (Banco di Napoli
docet), spostando i centri di potere e di produzione al nord e lasciando al sud
il solo compito del consumo. Ma Giorgio Bocca è uomo d’onore e queste cose le
sa, però le mistifica, le stravolge, al solo fine di mascherare sentimenti di
atavica avversione alla gens partenopea e, soprattutto, mascherare i suoi sentimenti
di adepto di quei leghisti che adorano il dio “Po” e inventano liturgie degne
del teatro di “Donna Peppa”. Camorra, malaffare, corruzione, certamente che ci
sono, oggi, ma chi l’alimenta, chi se se
ne abusa? I rifiuti tossici sono qui, ma chi li manda? La parola d’ordine è una
sola: NORD!. L'evento editoriale di Bocca è vecchio, ormai, ma vale la pena
ricordarsene e soprattutto ricordarlo a quelli che si stanno lanciando nella
competizione elettorale, visto che i loro precursori hanno incoscientemente
ignorato e che addirittura i Gesuiti di Napoli, dimentichi degli Annali di
Civiltà Cattolica, sostennero... Raffaele La Capria definì Bocca "troppo
sprofondato nella mentalità piccolo settentrionale"; qualcun altro lo
paragonò ad "una vecchia sciarpa littoria carica di nostalgie"; io
non sono tanto importante per definirlo in un qualche modo ma mi sento di
dedicargli una sonora pernacchia di eduardiana memoria.
Alessandro Pellino