giovedì 15 novembre 2012

I CIMITERI NAPOLETANI


I cimiteri di Napoli: le 366 fosse


Prima del 1762, a Napoli,  le salme dei defunti venivano sepolte in grandi fosse fuori dalle mura di cinta della città, mentre reali e nobili trovavano la loro ultima dimora nelle chiese delle città. Dalla seconda metà del XVII secolo, quando a Napoli imperversava la peste, i morti trovavano riposo nell’ospedale degli Incurabili di Napoli, fortemente voluto da Maria Lorenza Longo. I corpi di quegli sventurati venivano gettati in una fossa sotto il complesso ospedaliero detta <<Piscina>>. Questo, però, rendeva l’aria di quel sito alquanto malsana, per cui si cercò una soluzione al problema. La Real Santa Casa degli Incurabili pensò di costruire un cimitero ad uso della stessa. Si raccolsero circa 14370 ducati, di cui 4500 donati da Ferdinando IV, 9300 dai Banchi pubblici e 570 da altri donatori, purtroppo non bastavano e l’ospedale vi aggiunse la differenza di 26130 ducati. Nel 1762 l’architetto Ferdinando Fuga, su commissione di Ferdinando IV, costruì quello che potrebbe definirsi il primo cimitero napoletano,

<<AFFINCHE’ LA CITTA’ IMMENSA E MOLTO POPOLOSA NON FOSSE DANNEGGIATA DALL’AMMASSO DI CADAVERI CHE CONTIENE E QUINDI DALL’ASPIRAZIONE TOSSICA>>.

L’edificio è posto alla fine di due ripide rampe e vi si accede tramite una grande porta ad arco. Ai lati della porta vi sono due epigrafi del Mazzocchi; a destra dell’uscio vi è scritto il motivo per cui è stato costruito ed anche le misure dello spazio occupato, che sono di <<PEDES CCXXXVIII. IN AGRUM PEDES CCLIX>>, cioè: 238 e 259 piedi (70,45 e 76,66 metri) e la data del 21 settembre del 1762; a sinistra i nomi di coloro che ordinarono la costruzione, dell’architetto ed un invito alla pietà ed alla preghiera:

<<DIC BONA VERBA ET ANIMIS PIE IN DOMO SANCAT VITA FUNCTORUM PRO TUA PIETATE BONA ET SANCTA PRECARE.>> 

Originariamente l’ingresso era un portico ad archi con a destra una cappella decorata con un dipinto ad olio di Antonio Pellegrino ed a sinistra l’Officina. Il chiostro interno e di trecentodieci palmi (80,6 metri) per lato e nel quadrato si trovano 360 fosse di questo cimitero che sono profonde 7 metri, larghe 4,20 e coperte da grandi lastre di pietra vesuviana di circa 80 cm. per lato. Le restanti 6 fosse erano all’interno del vestibolo. Attualmente le fosse sono 365, in quanto una è stata fagocitata dall’ampliamento della cappella posta alla destra dell’entrata, nella quale si trovano 3 ossari. Quindi, una per ogni giorno dell’anno più una per gli anni bisestili (corrispondente alla n. 60 e che andava usata solo in tali anni). La struttura è statica ed interrata ed è composta da 19 gallerie, parallele al corpo di fabbrica dell’ingresso, con una volta a botte a tutto sesto. Il primo gennaio di ogni anno era scoperta una fossa, nella quale erano depositati i morti di quel giorno, la sera la si chiudeva ed il giorno dopo si apriva la seguente. La disposizione delle fosse è di 19 file per 19 fosse ognuna, escluso la decima fila che ne contiene 18, poiché non esiste quella centrale (punto d’intersezione degli assi di simmetria), al posto della quale è collocato un lampione a gas ed il tombino dello smaltimento delle acque piovane. La numerazione va da sinistra a destra dal numero 1 al 19, nella seconda fila si va dal 20 al 38, ma da destra a sinistra e si procede così fino alla fossa numero 360. All’inizio del nuovo anno si ripartiva dalla fossa numero uno e si ripetevano le operazioni di cui sopra.

Nel 1871 vi fu un ampliamento di questo cimitero che mortificò la matematica concezione del Fuga. Accadde che, su proposta dell’arciconfraternita di Santa Maria del popolo, furono soppresse le sepolture nelle fosse da 361 a 366 (dal 26 al 31 dicembre) per cui non si rispettò più la cronologia. Le salme, fino al 1875, erano gettate dall’alto del piazzale e, questo, costituiva l’ultima ed ennesima offesa alla vita del povero defunto. Nel 1875, però,  una nobildonna che aveva perso la figliola, non volendo che questa subisse l’umiliazione di essere gettata a mo’ di rifiuto, fece costruire e donò, una macchina funebre capace di calare all’alto le salme.    Tale macchinario era composto da un argano con una cassa di ferro col fondo apribile, in modo che il corpo fosse calato sul fondo e rilasciato tramite una molla che apriva il fondo della cassa. Quest’argano è ancora visibile all’interno del chiostro, sia pure molto danneggiato e corroso dal tempo. Il cimitero del Tredici, comunemente detto delle 366 fosse, restò in servizio fino al 1890, raccogliendo oltre due milioni e mezzo di corpi. Attualmente non riceve più defunti e riversa in uno stato fatiscente e bisognoso di restauro. Ultima cosa, i guardiani di questo cimitero, dal 1762 ad oggi, appartengono alla stessa famiglia. Il nome di questo cimitero si trasformò in TREDICI. Il nome <<Tredici>> si deve ad una stortura della pronuncia di Lautrec. Odet de Foix, conte de Lautrec e de Comminges, maresciallo di Francia (1511), conte di Foix, di Rethel e di Beaufort, signore d'Orval, di Chaource, di Marais, Isles e Villemur (1485 - 15 agosto 1528). Figlio di Jean de Foix, visconte di Lautrec e Villemur, governatore del Delfinato, e di Jeanne d'Aydie de Lescun; cavaliere di Saint Michel, fu  governatore della Guienna. Il Lautrec fu un prode guerriero, ma più che altro è ricordato per la sua inflessibilità e crudeltà, come un sanguinario. La strada della sua carriera fu spianata dalla sorella Françoise, la contessa di Châteaubriant, favorita di Francesco I di Francia. Finì che andò per suonare ma fu suonato, ecco come. Nell’estate del 1558, inviato da Francesco I contro Carlo V, Lautrec giunse a Napoli ed in breve tempo la cinse d’assedio. Il condottiero non si aspettava, dalla città, una resistenza indomita, per cui gli assalti risultavano vani. Fu quello il momento in cui, il francese, ebbe l’idea fulminante. Affamerò la città, pensò, anzi meglio, l’asseterò. Così fece distruggere dai suoi le condutture dell’acquedotto detto <<Della bolla>> che alimentava la città. Abbiamo però detto che si era in estate, per questo motivo, il caldo ed il terreno paludoso, in uno con le acque che dalle condutture si riversavano nei terreni circostanti, diedero vita ad una dilagante pestilenza, che in breve tempo uccise le truppe francesi ed il loro comandante Lautrec. Le spoglie mortali dell’esercito e del francese furono ricoverate in una grotta di quel luogo detta grotta dello sportiglione. In ricordo di questo fatto, i napoletani, nomarono quel luogo Lotrecco o lotrevice che poi nel tempo cambiò in tredici. 

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