mercoledì 14 novembre 2012

Unità d'’Italia: mistificazione di un'invasione



Dopo la disfatta di Gaeta, conclusasi il 14 febbraio 1861 alle otto di mattina, cominciarono gli arresti e le deportazioni dei soldati borbonici e dei civili fedeli a Francesco II di Borbone, esiliato prima a Roma, poi a Parigi ed infine ad Arco, in Trentino, dove morì il 27 dicembre del 1894. Migliaia di uomini furono messi ai ferri e stipati in navi verso Genova. Molti di loro percorsero il tragitto a piedi fino alla città ligure, dove furono smistati nei vari campi di concentramento. Oltre al forte di Fenestrelle se ne allestirono ad Alessandria, nel forte di S. Benigno a Genova, Milano, Bergamo, S. Maurizio Canavese, a Savona nel forte di Priamar, a Parma, Modena e Bologna. Il generale Enrico Cialdini, modenese di nascita, fu nominato coordinatore della custodia dei deportati meridionali, e ne fu l’esecutore materiale su mandato del governo piemontese. Il vero martirio lo subirono gli oltre 40.000 deportati a Fenestrelle. Il regno sabaudo dopo l’unione d’Italia, nell’VIII legislatura, guidata dal bolognese Marco Minghetti, in data 15 agosto  1863 promulgò la legge nº 1409, “Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette, VIII legislatura, Regno d'Italia”, meglio conosciuta come Legge Pica, dal nome del suo estensore, l’aquilano Giuseppe Pica. Questa legge si articola su cinque articoli fondamentali, che di seguito sono enunciati.
1° Fino al 31 dicembre nelle provincie infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari;
2° I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione;
3° Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre gradi di pena;
4° Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice penale, e ai manutengoli e camorristi;
5° In aumento dell'articolo 95 del bilancio approvato nel 1863 è aperto al Ministero dell'interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese di repressione del brigantaggio.
A questo punto resta da stabilire chi era connotato come brigante dal governo centrale neo costituito dell’epoca. Il cavillo della questione si può individuare al 4° articolo della legge, dove anche chi si macchiava del “delitto” di vagabondaggio (il vagabondaggio era consuetudine, vista la situazione in cui era stato ridotto il meridione dopo l’unione d’Italia) o addirittura chi era ozioso (sempre per la stessa ragione, molti erano costretti a oziare per la mancanza di occupazione) veniva inviato al domicilio coatto.
Panorama della fortezza di Fenestrelle.
Mette conto, a questo punto, dare vita ad una piccola digressione per soffermarci sul Forte di Fenestrelle. La fortezza di Fenestrelle è la più grande struttura fortificata d’Europa, tanto enorme da essere chiamata “la grande muraglia piemontese”.  Un’opera faraonica, voluta da Vittorio Amedeo II per difendere il Piemonte dagli attacchi dei francesi, la costruzione del forte ebbe inizio nel 1728 e fu terminata nel 1850, dopo oltre 122.  La sua estensione va dalla sommità della montagna per concludersi, in pratica, a fondo valle, nel 1850. Posta a più di 2.000 metri d’altezza e composta da tre forti:  San Carlo, Tre Denti e delle Valli. Queste costruzioni  sono unite da 2 scale. La prima, composta da 4.000 gradini, è interamente coperta e scavata in galleria artificiale. La seconda, detta “scala reale” è interamente all’aperto ed è composta da 2.550 gradini e lunga 2 chilometri, voluta da Carlo Emanuele III. La Scala Reale sale per circa 3 chilometri lungo il fianco della montagna in val Chisone, con un dislivello di 635 metri e copre un’area di 1.300.000 metri quadri. Insistono a Fenestrelle vasche per la calce viva, una di queste è posta alle spalle della chiesa del forte, seminascosta e fuori dai percorsi che generalmente si fanno compiere ai turisti in visita. Vasche testimoni di inaudite sofferenze patite dai soldati borbonici. Questi uomini, figli di una terra teatro d’incontro di culture normanne, sveve, angioine ed aragonesi, andavano al massacro, a guisa di masochistici schiavi, in terre straniere dove venivano disprezzati ed evitati come le peggiori bestie, come reietti indegni di esistere. Questo marchio indelebile è ancora tatuato sulla nostra pelle, così come avvenne un secolo dopo con la martoriata popolazione ebraica. Arbeit macht frei ( il lavoro rende liberi), questo era l’ironico messaggio che accoglieva  i deportati nei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale, mentre i fascisti scrissero a Fenestrelle: “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce”. In questi luoghi, ostici quanto mai per le genti meridionali a causa del freddo e di com’erano tenuti in prigionia dall’esercito piemontese, gli uomini erano trattati come bestie e privanti  anche degli stracci che indossavano per fare in modo che soffrissero ancora di più il clima rigido invernale. Non andava meglio nelle sere d’estate, quando l’aria risultava pungente per l’altitudine e penetrava in celle di detenzione private delle finestre. Ai prigionieri, privati del cibo e della pur minima assistenza medica, fu riservato un triste e tragico destino: morirono in circa 40.000. Generalmente, in quelle condizioni disumane, non riuscivano a sopravvivere più di tre mesi e quello che non poté la privazione lo fecero le famigerate vasche di calce viva, dove furono sciolti i morti e i corpi ancora vivi dei sopravvissuti. La carneficina non durò un breve lasso di tempo, ma si protrasse per anni; dall’archivio storico del ministero degli esteri sono stati ritrovati carteggi di una richiesta del 1869, da parte del governo italiano per l’acquisto di un’isola argentina per relegarvi i soldati napoletani, all’epoca ancora detenuti, il che, lascia intendere, il loro numero fosse ancora rilevante. Fine digressione.
Piantina della fortezza di Fenestrelle in Val Chisone. TO
Intanto, all’indomani della unificazione coatta, oltre 72.000 meridionali iscritti nelle liste di leva del regno borbonico e in seguito nel neonato regno d’Italia, vennero chiamati a prestare il sevizio militare. Fu un vero fallimento, su 72.000, solo 20.000 risposero alla chiamata alle armi gli altri si diedero alla macchia, per cui furono dichiarati “briganti” e perseguiti a norma della legge del regno sabaudo e in seguito anche per la legge del regno d’Italia, solo perché fedeli al Re borbonico ed a cui avevano prestato giuramento. Alla luce di quanto su esposto viene naturale chiedersi: era proprio necessario questo massacro di inaudite proporzioni? L’esercito borbonico era ormai disciolto ed inesistente. Il Re Francesco II era in esilio e senza alcuna speranza di ritorno. Quei pochi briganti sopravvissuti allo stermino erano in prigione. Le popolazioni rurali avevano visto esaurito ogni loro sentimento di restaurazione. Le forze economiche del meridione erano solo un ricordo dei tempi passati. Tutto era compiuto, perché infierire? Genocidio premeditato? O semplicemente barbarie? In questi giorni, infuria la polemica su quanto siano veritieri questi fatti storici, supportati da prove tangibili e di ricostruzioni storiche certosine e laboriose a causa dell’occultamento di molte prove, come atti ufficiali e libri risalenti ai fatti scritti in epoche pre-repubblicani. Quanto più fatti e voci si levano per affermare una verità dolosamente occultata, tanto più viene messa in dubbio e tacciata sotto la definizione di: invenzione storiografica e mediatica, relegata in un angolo buio dal nuovo revisionismo storico, sempre più aggressivo. Si può dire, senza timore di smentita, che il governo sabaudo fu precursore del delitto contro l’umanità che fu la deportazione, la detenzione e l’eccidio di tante persone innocenti e della sua copertura alle generazioni future, avvenuto all’alba della nascita dell’Italia. Nessuna nascita di un paese civile dovrebbe poggiare la base sul sangue innocente scorso a fiumi e su l’occultamento scientifico di un periodo storico inumano, facendo in modo che questi non lasci traccia e senza che se ne faccia menzione su alcun testo storico.
Targa commemorativa dei deportati caduti,posta nella piazza d'arme del forte.


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