La mattina del 6
giugno del 1906, in località Cupa Calastro a Torre del Greco, fu rinvenuto il
corpo di un uomo, ucciso con 47 coltellate e diversi colpi di mazza. Si
trattava del cadavere di Gennaro Cuocolo, ladro, ricettatore, basista, nonché
camorrista. Poco dopo nell'abitazione del Cuocolo, sita in Napoli alla via
Nardones 95, viene trovata morta Maria Cutinelli, sua moglie, ex prostituta e
conosciuta col nome di battaglia di <<la bella sorrentina>>. Le sezioni di
polizia di Torre del Greco e di Napoli, si misero subito al lavoro. Fu
stabilito che i due coniugi erano stati uccisi la sera precedente, il Cuocolo
verso il tramonto mentre, la consorte alle 23 circa. Le indagini portarono
all'arresto di Enrico e Ciro Alfano, nonché Gennaro Jacovitti, Giovanni Rapi e
Gennaro Ibello, i quali si trovavano insieme ad altre persone, il giorno del
delitto, nella trattoria
<<Mimì
a mare
<<
a Torre del Greco, vicini al luogo dell'omicidio. Non essendosi, però, trovati
validi elementi di prova che potessero incastrare i 5 arrestati, questi vennero
rimessi in libertà. Tutto sembrava avviarsi verso una monotona e ricorrente
archiviazione del caso con imputazioni a carico d'ignoti quando il Duca d'Aosta
Emanuele Filiberto, capo del Governo Giolitti, riaprì l'inchiesta e la affidò
al capitano dei carabinieri Carlo Fabroni. Il funzionario si fece affiancare,
come aiutante, il maresciallo Erminio Capezzuto. Le indagini, prontamente
attivate dai due andavano molto a rilento, la legge dell'omertà della camorra
era inscardinabile, ci voleva un colpo di fortuna e questo arrivò, celandosi
sotto le sembianze Gennaro Abbatemaggio.
Figlio di Rosa
Mirelli, una stiratrice abitante a Largo Sant'Anna di Palazzo, Abbatemaggio,
nato nel 1884, di professione cocchiere, dedito a piccoli furti e con facile
propensione alla millanteria (più volte si era vantato di appartenere alla <<Bella società
riformata>>) all'epoca delle
indagini, agosto del 1906, aveva 22 anni. Ladruncolo di bassa lega si vantava
di appartenere alla camorra e, a tal uopo, ostentava una cicatrice sul lato
sinistro della faccia. Si poteva pensare che questa richiamasse qualche
dichiaramento tra uomini d'onore, assolutamente no, questo segno di sfregio era
opera di Gennaro Campoluongo, ommo pusitivo, che aveva punito l'Abbatemaggio
per un oltraggio ai danni di una protetta del Campoluongo, Antonietta Zaccaria.
All'epoca dell'incontro col Fabroni, Abbatemaggio si trovava nel carcere di
Santa Maria Capua Vetere per scontare una pena inflittagli, nel 1903, per un
furto perpetrato in casa di tale Consiglio, con la complicità della cameriera
di questi, Raffaelina De Rosa, e Nazareno Di Martire. Uomo di poco spessore,
l'Abbatemaggio, era stato anche confidente del commissario di polizia Peruzy
del quartiere di Secondigliano. Scacciato dal Peruzy, che lo riteneva un
doppiogiochista, era passato al soldo del maresciallo dei Carabinieri
Capezzuto, di stanza a Capodichino. Sul finire del 1906, il maresciallo Capezzuto
si recò, a Santa Maria Capua Vetere per scoprire se sapesse niente
sull'omicidio Cuocolo. Dopo un'iniziale reticenza e, su insistenze e promesse del
maresciallo, cominciò con piccole ammissioni e mezze parole, fino a poi fare
nomi e cognomi di tutti gli appartenenti alla <<Gran Mamma>>. Naturalmente tutto
con la clausola
<<ccà
'e pezze e ccà 'o sapone>>. Basti pensare che
prima dell'arresto, Abbatemaggio, era povero in canna, dopo l'incontro con
Capezzuto era proprietario di carrozza e cavallo. Stavolta, a pensare male non
si sbaglia, s'indovina! Dopo sei mesi d'indagini ed interrogatori, il Capitano Fabroni,
il 3 febbraio del 1907, presentò al giudice un rapporto, anche a firma dei
carabinieri Volpe, Dell'Isola, Cataldo e Uggia, nel quale accusava settanta
persone per camorra, di cui quarantasette per concorso in duplice omicidio
premeditato a fini di vendetta e di lucro ai danni di Gennaro Cuocolo e Maria
Cutinelli. Il teorema accusatorio si basava sulle dichiarazioni di Gennaro
Abbatemaggio, detto
<<'o
cucchieriello>> e di altri
cocchieri, tra i quali Antonio Ruller, Renato Abbruzzini e Gaetano Barbella. La
versione fornita dagli accusatori indicava, come esecutori materiali dei due
delitti, Mariano Di Gennaro detto <<'o diciassette>>, Antonio Cerrato detto <<Totonno mezapalla>>, Ferdinando De
Matteo, detto
<<'o
piscione>>, Nicola Morra,
Giuseppe Salvi e Corrado Sortino. Come mandanti del duplice omicidio Enrico
Alfano, detto
<<Erricone>>, capo effettivo
della camorra napoletana, il capintesta Luigi Fucci, 'o gassusaro, e Gennaro De
Marinis. L'accusatore affermò che, Di Gennaro e Sortini, con la scusa di un
sopralluogo da farsi per un furto, attirarono il Cuocolo a Cupa Calastro, dove
erano ad attenderli il Morra ed il Cerrato. Una volta sul luogo fu consumato il
delitto. Subito dopo il Sortini ritornò a Napoli, dove incontrò Salvi e Di
Matteo, con i quali si recò in casa Cuocolo ed uccise la Cutinelli. Il movente,
descritto dall'Abbatemaggio, era da ricercarsi in una spiata di Gennaro Cuocolo.
Il fatto era il seguente. Gennaro Cuocolo, istigato dalla moglie Maria
Cutinelli, aveva denunziato tale Luigi Arena, detto <<Coppola Rossa>> per un furto in un
appartamento di via Chiatamone. Arena aveva scritto alla sorella chiedendo che si
facesse suo tramite, presso la camorra, per ottenere riparazione allo sgarro.
Gennaro De Marinis, detto il <<Mandriere>>, amico di Arena chiese la riunione del tribunale della
camorra che avvenne il 26 maggio del 1906, nel ristorante <<Coppola>> a Bagnoli. Il
consesso, con Presidente Luigi Fucci, che fungeva da accusatore, Enrico Alfano,
e Giovanni Rapi pronunciò una sentenza di morte per i Cuocolo, sentenza da
eseguirsi il cinque del mese seguente. Furono spiccati i mandati di cattura,
vennero arrestati tutti gli accusati più un gran numero di camorristi ed il
prete don Ciro Vittozzi. Enrico Alfano si era imbarcato, in qualità di
fuochista e sotto il falso nome di Enrico Alfonso, su un transatlantico diretto
negli Stati Uniti. A Brooklyn fu accolto, da membri della <<Mano Nera>>, presso la famiglia
di Pellegrino Morano detto
<<Don
Grino>>. Sembrava tutto
risolto per Erricone ma fu, invece,
arrestato da Joe Petrosino a New York, nel quartiere di Harlem, il 17
aprile del 1907. A nostro avviso, in
America, lo avevano
<<cantato>>. Alfano, essendo il
Mammasantissima della camorra napoletana avrebbe rivestito di diritto, oltre
oceano, la stessa carica e, di conseguenza, avrebbe avuto diritto a gran parte
degli introiti della mano nera, oltre all'obbedienza di tutti i camorristi di
terra d'America. A molti di loro, questo, potrebbe non essere andato a genio e,
quindi, aver architettato l'arresto dell'Alfano. Erricone fu estradato in
Francia a Le Havre e poi in quel di
Partenope. A Napoli l'atmosfera s'era fatta incandescente e fu deciso, onde
evitare manifestazioni e disordini, di spostare il processo da Napoli a
Viterbo. Continuavano, parallelamente, le indagini della polizia che aveva
ipotizzato un altro teorema d'accusa. Il delegato di P.S. Nicola Ippolito
asseriva che i Cuocolo erano stati uccisi da Tommaso De Angelis e Gaetano
Amodeo, complici del Cuocolo che, per vendicarsi di uno sgarro del complice lo
avevano eliminato; i fatti erano avvalorati dal ritrovamento, in casa Amodeo,
di una cravatta nera uguale a quella trovata in casa Cuocolo e dalle asserzioni
del sacerdote Ciro Vittozzi e di Giacomo Ascrittore, confidente di polizia. In
modo particolare, l'Ascrittore, dichiarò che De Angelis gli aveva confidato di
aver ucciso il Cuocolo in quanto, questi, non aveva voluto dividere il bottino
di alcuni colpi effettuati con lui e con l'Amodeo. La polemica che ne nacque
divenne violenta, i carabinieri accusavano la polizia di voler coprire i
camorristi, la polizia accusava i carabinieri di protagonismo. Il commissario
Ippolito, il maresciallo Geremicchi ed altri funzionari di P.S. vennero incriminati
per corruzione e, anche se furono assolti per non aver commesso il fatto, le
indagini sul De Angelis e sull'Amodeo vennero interrotte. La magistratura sposò
la tesi del capitano Fabroni quindi, nell'ottobre del 1907, il Sostituto
procuratore del Re, De Tilla, pronunciò il suo atto accusatorio contro Erricone
e tutti gli affiliati. Il processo ebbe inizio l'11 maggio del 1911 a Viterbo,
e si concluse l'8 luglio del 1912. Lo svolgersi di questo processo ebbe vasta
eco su tutti i giornali, locali, italiani e stranieri e fu molto seguito, anche
perché da duplice omicidio si era trasformato in processo alla camorra. Sul New York Times, il 1° aprile del 1911 era stampato
<<This was Alfano's day -- Enrico Alfano, alias
<<Erricone,>> the reputed head of the most monstrous criminal
organization on earth.>>
(Questo è stato il giorno di Alfano -
Enrico Alfano, alias
<<Erricone>>, il rinomato capo della più mostruosa
organizzazione criminale sulla terra.).
Nell'anno trascorso a
dibattere le tesi accusatorie e quelle difensive, emersero molti fatti
inquietanti che, seppur determinanti per lo svolgimento e l'esito del processo,
non furono tenuti nel debito conto dai Presidenti Bianchi e Carretto e dalla
giuria. Si appurò che le indagini condotte dal capitano Carlo Fabroni erano
approssimative e, in alcuni casi erano state artatamente condotte; alcune
prove, determinanti, erano state costruite e, un gran numero di iter
procedurali erano stati stravolti. Coloro che, nel corso delle indagini,
avevano denunciato questo modo di procedere, furono o arrestati o costretti
alle dimissioni. Il magistrato Lucchesi Palli, che aveva constatato gli arbitri
dei carabinieri, fu rimosso dall'incarico; il giudice Morelli fu costretto alle
dimissioni; il carabiniere Lippiello venne rinchiuso nel manicomio criminale di
Aversa; il delegato di P.S. Catalano fu trasferito; altri poliziotti furono
accusati di complicità ed arrestati. Tutte le colpe contestate a costoro non
furono mai provate, ciò nonostante furono, comunque, allontanati. L'impianto
accusatorio che si basava su tre punti, fu completamente demolito dagli
avvocati difensori.
Il primo punto, il
movente.
Abbatemaggio, in un
primo momento, lo indicò in una spiata di Cuocolo ai danni di Arena, poi cambiò
versione e affermò che, il Cuocolo, era stato ucciso in quanto ricattava il
Rapi, accusandolo di essere un ricettatore. Questo movente, nel corso di un
successivo dibattimento cadde in quanto, il Tribunale di Napoli, assolse il
Rapi dalle accuse di ricettazione mossegli dall'Abbatemaggio.
Il secondo punto, le
prove.
Il rapporto del
capitano Fabroni e del maresciallo Capezzuto identificavano come prova decisiva
un anello con le iniziali G. C., cioè Gennaro Cuocolo, rinvenuto
nell'abitazione del Salvi, un anno dopo il delitto. Questa prova risultò falsa
in quanto fu, poi, stabilito che quelle iniziali furono apposte diverso tempo
dopo che il delitto era stato commesso.
Il terzo punto, le
testimonianze.
L'accusa presentò
tutti i testimoni come affidabilissimi e sinceri, mentre la difesa dimostrò,
senza ombra di dubbio, la loro assoluta inaffidabilità, i loro precedenti
penali e, addirittura la non presenza all'omicidio di un testimone oculare,
tale D'Agostino, il quale il giorno del delitto si trovava, invece, a Roma
presso la caserma del 13° reggimento di artiglieria a svolgere il servizio
militare.
Quindi, movente
inesistente; prove manipolate e/o create; corruzione di testimoni, da parte del
capitano Fabroni, detto
<<'O
masto Gruosso>>; intimidazione di
giudici e poliziotti. Tutti elementi che avrebbero dovuto concorrere, se non
all'annullamento del processo, all'assoluzione di tutti gli accusati, invece
con una maggioranza di otto giurati a favore e quattro contro, dopo 282
udienze, l'escussione di 652 testi e, dopo l'udienza fiume del capitano Fabroni,
durata 67 sedute con 530 pagine di verbali, alle 22,10 del 9 luglio del 1912
furono emesse le seguenti condanne:
30 anni per Sortino,
Salvi, Morra, Cerrato e Di Gennaro quali
esecutori materiali del delitto;
30 anni per Alfano, Rapi,
De Marinis quali mandanti;
25 anni e sei mesi a
De Matteo quale mandante;
9 anni per Ascrittore;
6 anni a Don Ciro Vittozzi (condannato anche a
versare,
insieme ad Ascrittore, 10.000 lire al De
Angelis ed
altrettante all'Amodeo);
5 anni a Fucci, Desiderio, De Lucia e altri
per associazione a
delinquere:
e svariate pene da 3
a 2 anni per gli altri.
Assolti Luigi Arena e
Luigi Ibello, più qualche imputato minore.
Giustizia /
ingiustizia era fatta.
Pochi mesi dopo il
verdetto del Tribunale di Viterbo, nell'ottobre del 1912, quei cocchieri, testi
dell'accusa, vennero denunciati per falsa testimonianza e, alcuni di loro,
arrestati.
I vari ricorsi dei
condannati, che si basavano sulla prova delle menzogne dei testi d'accusa,
furono tutti respinti. Il processo per falsa testimonianza dei cocchieri fu
ritardato e, poi, rimandato alla fine degli eventi bellici della seconda guerra
mondiale. Una volta finita la guerra ci si accorse che i reati di falsa
testimonianza si erano prescritti. Era chiaro che non si aveva alcuna
intenzione di rifare il processo. Questo avrebbe significato dimostrare, anche,
il comportamento arrogante dei carabinieri, i vari tentativi di corruzione da
questi effettuati e la fabbricazione di prove false. Accadde, però, che nel
maggio del 1927, Gennaro Abbatemaggio, consegnò all'avvocato Salomone, uno dei
23 avvocati difensori del processo Cuocolo, un memoriale nel quale ritrattava
tutte le accuse mosse, dichiarando di essere stato spinto a tanto dal
maresciallo Capezzuto. Non bastò per la revisione del processo e bisognò
attendere la concessione della grazia da parte di Mussolini. Il Duce ritenne
che, come il prefetto Mori aveva annientato la mafia, così Fabroni aveva
cancellato la camorra per cui, <<spaziando i
provvedimenti nel tempo>> tutti gli imputati furono rimessi in libertà.