domenica 19 febbraio 2012

Il processo Cuocolo ovvero Processo alla camorra


La mattina del 6 giugno del 1906, in località Cupa Calastro a Torre del Greco, fu rinvenuto il corpo di un uomo, ucciso con 47 coltellate e diversi colpi di mazza. Si trattava del cadavere di Gennaro Cuocolo, ladro, ricettatore, basista, nonché camorrista. Poco dopo nell'abitazione del Cuocolo, sita in Napoli alla via Nardones 95, viene trovata morta Maria Cutinelli, sua moglie, ex prostituta e conosciuta col nome di battaglia di <<la bella sorrentina>>. Le sezioni di polizia di Torre del Greco e di Napoli, si misero subito al lavoro. Fu stabilito che i due coniugi erano stati uccisi la sera precedente, il Cuocolo verso il tramonto mentre, la consorte alle 23 circa. Le indagini portarono all'arresto di Enrico e Ciro Alfano, nonché Gennaro Jacovitti, Giovanni Rapi e Gennaro Ibello, i quali si trovavano insieme ad altre persone, il giorno del delitto, nella trattoria <<Mimì a mare << a Torre del Greco, vicini al luogo dell'omicidio. Non essendosi, però, trovati validi elementi di prova che potessero incastrare i 5 arrestati, questi vennero rimessi in libertà. Tutto sembrava avviarsi verso una monotona e ricorrente archiviazione del caso con imputazioni a carico d'ignoti quando il Duca d'Aosta Emanuele Filiberto, capo del Governo Giolitti, riaprì l'inchiesta e la affidò al capitano dei carabinieri Carlo Fabroni. Il funzionario si fece affiancare, come aiutante, il maresciallo Erminio Capezzuto. Le indagini, prontamente attivate dai due andavano molto a rilento, la legge dell'omertà della camorra era inscardinabile, ci voleva un colpo di fortuna e questo arrivò, celandosi sotto le sembianze Gennaro Abbatemaggio.
Figlio di Rosa Mirelli, una stiratrice abitante a Largo Sant'Anna di Palazzo, Abbatemaggio, nato nel 1884, di professione cocchiere, dedito a piccoli furti e con facile propensione alla millanteria (più volte si era vantato di appartenere alla <<Bella società riformata>>) all'epoca delle indagini, agosto del 1906, aveva 22 anni. Ladruncolo di bassa lega si vantava di appartenere alla camorra e, a tal uopo, ostentava una cicatrice sul lato sinistro della faccia. Si poteva pensare che questa richiamasse qualche dichiaramento tra uomini d'onore, assolutamente no, questo segno di sfregio era opera di Gennaro Campoluongo, ommo pusitivo, che aveva punito l'Abbatemaggio per un oltraggio ai danni di una protetta del Campoluongo, Antonietta Zaccaria. All'epoca dell'incontro col Fabroni, Abbatemaggio si trovava nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per scontare una pena inflittagli, nel 1903, per un furto perpetrato in casa di tale Consiglio, con la complicità della cameriera di questi, Raffaelina De Rosa, e Nazareno Di Martire. Uomo di poco spessore, l'Abbatemaggio, era stato anche confidente del commissario di polizia Peruzy del quartiere di Secondigliano. Scacciato dal Peruzy, che lo riteneva un doppiogiochista, era passato al soldo del maresciallo dei Carabinieri Capezzuto, di stanza a Capodichino. Sul finire del 1906, il maresciallo Capezzuto si recò, a Santa Maria Capua Vetere per scoprire se sapesse niente sull'omicidio Cuocolo. Dopo un'iniziale reticenza e, su insistenze e promesse del maresciallo, cominciò con piccole ammissioni e mezze parole, fino a poi fare nomi e cognomi di tutti gli appartenenti alla <<Gran Mamma>>. Naturalmente tutto con la clausola <<ccà 'e pezze e ccà 'o sapone>>[1]. Basti pensare che prima dell'arresto, Abbatemaggio, era povero in canna, dopo l'incontro con Capezzuto era proprietario di carrozza e cavallo. Stavolta, a pensare male non si sbaglia, s'indovina! Dopo sei mesi d'indagini ed interrogatori, il Capitano Fabroni, il 3 febbraio del 1907, presentò al giudice un rapporto, anche a firma dei carabinieri Volpe, Dell'Isola, Cataldo e Uggia, nel quale accusava settanta persone per camorra, di cui quarantasette per concorso in duplice omicidio premeditato a fini di vendetta e di lucro ai danni di Gennaro Cuocolo e Maria Cutinelli. Il teorema accusatorio si basava sulle dichiarazioni di Gennaro Abbatemaggio, detto <<'o cucchieriello>> e di altri cocchieri, tra i quali Antonio Ruller, Renato Abbruzzini e Gaetano Barbella. La versione fornita dagli accusatori indicava, come esecutori materiali dei due delitti, Mariano Di Gennaro detto <<'o diciassette>>, Antonio Cerrato detto <<Totonno mezapalla>>, Ferdinando De Matteo, detto <<'o piscione>>, Nicola Morra, Giuseppe Salvi e Corrado Sortino. Come mandanti del duplice omicidio Enrico Alfano, detto <<Erricone>>, capo effettivo della camorra napoletana, il capintesta Luigi Fucci, 'o gassusaro, e Gennaro De Marinis. L'accusatore affermò che, Di Gennaro e Sortini, con la scusa di un sopralluogo da farsi per un furto, attirarono il Cuocolo a Cupa Calastro, dove erano ad attenderli il Morra ed il Cerrato. Una volta sul luogo fu consumato il delitto. Subito dopo il Sortini ritornò a Napoli, dove incontrò Salvi e Di Matteo, con i quali si recò in casa Cuocolo ed uccise la Cutinelli. Il movente, descritto dall'Abbatemaggio, era da ricercarsi in una spiata di Gennaro Cuocolo. Il fatto era il seguente. Gennaro Cuocolo, istigato dalla moglie Maria Cutinelli, aveva denunziato tale Luigi Arena, detto <<Coppola Rossa>> per un furto in un appartamento di via Chiatamone. Arena aveva scritto alla sorella chiedendo che si facesse suo tramite, presso la camorra, per ottenere riparazione allo sgarro. Gennaro De Marinis, detto il <<Mandriere>>, amico di Arena chiese la riunione del tribunale della camorra che avvenne il 26 maggio del 1906, nel ristorante <<Coppola>> a Bagnoli. Il consesso, con Presidente Luigi Fucci, che fungeva da accusatore, Enrico Alfano, e Giovanni Rapi pronunciò una sentenza di morte per i Cuocolo, sentenza da eseguirsi il cinque del mese seguente. Furono spiccati i mandati di cattura, vennero arrestati tutti gli accusati più un gran numero di camorristi ed il prete don Ciro Vittozzi. Enrico Alfano si era imbarcato, in qualità di fuochista e sotto il falso nome di Enrico Alfonso, su un transatlantico diretto negli Stati Uniti. A Brooklyn fu accolto, da membri della <<Mano Nera>>, presso la famiglia di Pellegrino Morano detto <<Don Grino>>. Sembrava tutto risolto per Erricone ma fu, invece,  arrestato da Joe Petrosino a New York, nel quartiere di Harlem, il 17 aprile del 1907[2]. A nostro avviso, in America, lo avevano <<cantato>>[3]. Alfano, essendo il Mammasantissima della camorra napoletana avrebbe rivestito di diritto, oltre oceano, la stessa carica e, di conseguenza, avrebbe avuto diritto a gran parte degli introiti della mano nera, oltre all'obbedienza di tutti i camorristi di terra d'America. A molti di loro, questo, potrebbe non essere andato a genio e, quindi, aver architettato l'arresto dell'Alfano. Erricone fu estradato in Francia a Le Havre e poi  in quel di Partenope. A Napoli l'atmosfera s'era fatta incandescente e fu deciso, onde evitare manifestazioni e disordini, di spostare il processo da Napoli a Viterbo. Continuavano, parallelamente, le indagini della polizia che aveva ipotizzato un altro teorema d'accusa. Il delegato di P.S. Nicola Ippolito asseriva che i Cuocolo erano stati uccisi da Tommaso De Angelis e Gaetano Amodeo, complici del Cuocolo che, per vendicarsi di uno sgarro del complice lo avevano eliminato; i fatti erano avvalorati dal ritrovamento, in casa Amodeo, di una cravatta nera uguale a quella trovata in casa Cuocolo e dalle asserzioni del sacerdote Ciro Vittozzi e di Giacomo Ascrittore, confidente di polizia. In modo particolare, l'Ascrittore, dichiarò che De Angelis gli aveva confidato di aver ucciso il Cuocolo in quanto, questi, non aveva voluto dividere il bottino di alcuni colpi effettuati con lui e con l'Amodeo. La polemica che ne nacque divenne violenta, i carabinieri accusavano la polizia di voler coprire i camorristi, la polizia accusava i carabinieri di protagonismo. Il commissario Ippolito, il maresciallo Geremicchi ed altri funzionari di P.S. vennero incriminati per corruzione e, anche se furono assolti per non aver commesso il fatto, le indagini sul De Angelis e sull'Amodeo vennero interrotte. La magistratura sposò la tesi del capitano Fabroni quindi, nell'ottobre del 1907, il Sostituto procuratore del Re, De Tilla, pronunciò il suo atto accusatorio contro Erricone e tutti gli affiliati. Il processo ebbe inizio l'11 maggio del 1911 a Viterbo, e si concluse l'8 luglio del 1912. Lo svolgersi di questo processo ebbe vasta eco su tutti i giornali, locali, italiani e stranieri e fu molto seguito, anche perché da duplice omicidio si era trasformato in processo alla camorra. Sul New York Times, il 1° aprile del 1911 era stampato

<<This was Alfano's day -- Enrico Alfano, alias <<Erricone,>> the reputed head of the most monstrous criminal organization on earth.>>

 (Questo è stato il giorno di Alfano - Enrico Alfano, alias <<Erricone>>, il  rinomato capo della più mostruosa organizzazione criminale sulla terra.).
Nell'anno trascorso a dibattere le tesi accusatorie e quelle difensive, emersero molti fatti inquietanti che, seppur determinanti per lo svolgimento e l'esito del processo, non furono tenuti nel debito conto dai Presidenti Bianchi e Carretto e dalla giuria. Si appurò che le indagini condotte dal capitano Carlo Fabroni erano approssimative e, in alcuni casi erano state artatamente condotte; alcune prove, determinanti, erano state costruite e, un gran numero di iter procedurali erano stati stravolti. Coloro che, nel corso delle indagini, avevano denunciato questo modo di procedere, furono o arrestati o costretti alle dimissioni. Il magistrato Lucchesi Palli, che aveva constatato gli arbitri dei carabinieri, fu rimosso dall'incarico; il giudice Morelli fu costretto alle dimissioni; il carabiniere Lippiello venne rinchiuso nel manicomio criminale di Aversa; il delegato di P.S. Catalano fu trasferito; altri poliziotti furono accusati di complicità ed arrestati. Tutte le colpe contestate a costoro non furono mai provate, ciò nonostante furono, comunque, allontanati. L'impianto accusatorio che si basava su tre punti, fu completamente demolito dagli avvocati difensori.
Il primo punto, il movente.
Abbatemaggio, in un primo momento, lo indicò in una spiata di Cuocolo ai danni di Arena, poi cambiò versione e affermò che, il Cuocolo, era stato ucciso in quanto ricattava il Rapi, accusandolo di essere un ricettatore. Questo movente, nel corso di un successivo dibattimento cadde in quanto, il Tribunale di Napoli, assolse il Rapi dalle accuse di ricettazione mossegli dall'Abbatemaggio.
Il secondo punto, le prove.
Il rapporto del capitano Fabroni e del maresciallo Capezzuto identificavano come prova decisiva un anello con le iniziali G. C., cioè Gennaro Cuocolo, rinvenuto nell'abitazione del Salvi, un anno dopo il delitto. Questa prova risultò falsa in quanto fu, poi, stabilito che quelle iniziali furono apposte diverso tempo dopo che il delitto era stato commesso.
Il terzo punto, le testimonianze.
L'accusa presentò tutti i testimoni come affidabilissimi e sinceri, mentre la difesa dimostrò, senza ombra di dubbio, la loro assoluta inaffidabilità, i loro precedenti penali e, addirittura la non presenza all'omicidio di un testimone oculare, tale D'Agostino, il quale il giorno del delitto si trovava, invece, a Roma presso la caserma del 13° reggimento di artiglieria a svolgere il servizio militare.
Quindi, movente inesistente; prove manipolate e/o create; corruzione di testimoni, da parte del capitano Fabroni, detto <<'O masto Gruosso>>; intimidazione di giudici e poliziotti. Tutti elementi che avrebbero dovuto concorrere, se non all'annullamento del processo, all'assoluzione di tutti gli accusati, invece con una maggioranza di otto giurati a favore e quattro contro, dopo 282 udienze, l'escussione di 652 testi e, dopo l'udienza fiume del capitano Fabroni, durata 67 sedute con 530 pagine di verbali, alle 22,10 del 9 luglio del 1912 furono emesse le seguenti condanne:
30 anni per Sortino, Salvi, Morra, Cerrato e Di Gennaro quali
     esecutori materiali del delitto;
30 anni per Alfano, Rapi, De Marinis quali mandanti;
25 anni e sei mesi a De Matteo quale mandante;
 9 anni per Ascrittore;
 6 anni a Don Ciro Vittozzi (condannato anche a versare,
    insieme ad Ascrittore, 10.000 lire al De Angelis ed
    altrettante all'Amodeo);
 5 anni a Fucci, Desiderio, De Lucia e altri per associazione a
    delinquere:
e svariate pene da 3 a 2 anni per gli altri.
Assolti Luigi Arena e Luigi Ibello, più qualche imputato minore.
Giustizia / ingiustizia era fatta.
Pochi mesi dopo il verdetto del Tribunale di Viterbo, nell'ottobre del 1912, quei cocchieri, testi dell'accusa, vennero denunciati per falsa testimonianza e, alcuni di loro, arrestati.
I vari ricorsi dei condannati, che si basavano sulla prova delle menzogne dei testi d'accusa, furono tutti respinti. Il processo per falsa testimonianza dei cocchieri fu ritardato e, poi, rimandato alla fine degli eventi bellici della seconda guerra mondiale. Una volta finita la guerra ci si accorse che i reati di falsa testimonianza si erano prescritti. Era chiaro che non si aveva alcuna intenzione di rifare il processo. Questo avrebbe significato dimostrare, anche, il comportamento arrogante dei carabinieri, i vari tentativi di corruzione da questi effettuati e la fabbricazione di prove false. Accadde, però, che nel maggio del 1927, Gennaro Abbatemaggio, consegnò all'avvocato Salomone, uno dei 23 avvocati difensori del processo Cuocolo, un memoriale nel quale ritrattava tutte le accuse mosse, dichiarando di essere stato spinto a tanto dal maresciallo Capezzuto. Non bastò per la revisione del processo e bisognò attendere la concessione della grazia da parte di Mussolini. Il Duce ritenne che, come il prefetto Mori aveva annientato la mafia, così Fabroni aveva cancellato la camorra per cui, <<spaziando i provvedimenti nel tempo>> tutti gli imputati furono rimessi in libertà.



[1] Prima i soldi e poi le soffiate
[2] A questo proposito, per lungo tempo si é sospettato che tra i mandanti
      del Petrosino, trucidato a Palermo il 12 marzo del 1909, ci fosse anche
      l'Alfano.
[3] Tradito

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