La mattina del 6
giugno del 1906, in località Cupa Calastro a Torre del Greco, fu rinvenuto il
corpo di un uomo, ucciso con 47 coltellate e diversi colpi di mazza. Si
trattava del cadavere di Gennaro Cuocolo, ladro, ricettatore, basista, nonché
camorrista. Poco dopo nell'abitazione del Cuocolo, sita in Napoli alla via
Nardones 95, viene trovata morta Maria Cutinelli, sua moglie, ex prostituta e
conosciuta col nome di battaglia di <<la bella sorrentina>>. Le sezioni di
polizia di Torre del Greco e di Napoli, si misero subito al lavoro. Fu
stabilito che i due coniugi erano stati uccisi la sera precedente, il Cuocolo
verso il tramonto mentre, la consorte alle 23 circa. Le indagini portarono
all'arresto di Enrico e Ciro Alfano, nonché Gennaro Jacovitti, Giovanni Rapi e
Gennaro Ibello, i quali si trovavano insieme ad altre persone, il giorno del
delitto, nella trattoria
<<Mimì
a mare
<<
a Torre del Greco, vicini al luogo dell'omicidio. Non essendosi, però, trovati
validi elementi di prova che potessero incastrare i 5 arrestati, questi vennero
rimessi in libertà. Tutto sembrava avviarsi verso una monotona e ricorrente
archiviazione del caso con imputazioni a carico d'ignoti quando il Duca d'Aosta
Emanuele Filiberto, capo del Governo Giolitti, riaprì l'inchiesta e la affidò
al capitano dei carabinieri Carlo Fabroni. Il funzionario si fece affiancare,
come aiutante, il maresciallo Erminio Capezzuto. Le indagini, prontamente
attivate dai due andavano molto a rilento, la legge dell'omertà della camorra
era inscardinabile, ci voleva un colpo di fortuna e questo arrivò, celandosi
sotto le sembianze Gennaro Abbatemaggio.

<<This was Alfano's day -- Enrico Alfano, alias
<<Erricone,>> the reputed head of the most monstrous criminal
organization on earth.>>
(Questo è stato il giorno di Alfano -
Enrico Alfano, alias
<<Erricone>>, il rinomato capo della più mostruosa
organizzazione criminale sulla terra.).
Nell'anno trascorso a
dibattere le tesi accusatorie e quelle difensive, emersero molti fatti
inquietanti che, seppur determinanti per lo svolgimento e l'esito del processo,
non furono tenuti nel debito conto dai Presidenti Bianchi e Carretto e dalla
giuria. Si appurò che le indagini condotte dal capitano Carlo Fabroni erano
approssimative e, in alcuni casi erano state artatamente condotte; alcune
prove, determinanti, erano state costruite e, un gran numero di iter
procedurali erano stati stravolti. Coloro che, nel corso delle indagini,
avevano denunciato questo modo di procedere, furono o arrestati o costretti
alle dimissioni. Il magistrato Lucchesi Palli, che aveva constatato gli arbitri
dei carabinieri, fu rimosso dall'incarico; il giudice Morelli fu costretto alle
dimissioni; il carabiniere Lippiello venne rinchiuso nel manicomio criminale di
Aversa; il delegato di P.S. Catalano fu trasferito; altri poliziotti furono
accusati di complicità ed arrestati. Tutte le colpe contestate a costoro non
furono mai provate, ciò nonostante furono, comunque, allontanati. L'impianto
accusatorio che si basava su tre punti, fu completamente demolito dagli
avvocati difensori.
Il primo punto, il
movente.
Abbatemaggio, in un
primo momento, lo indicò in una spiata di Cuocolo ai danni di Arena, poi cambiò
versione e affermò che, il Cuocolo, era stato ucciso in quanto ricattava il
Rapi, accusandolo di essere un ricettatore. Questo movente, nel corso di un
successivo dibattimento cadde in quanto, il Tribunale di Napoli, assolse il
Rapi dalle accuse di ricettazione mossegli dall'Abbatemaggio.
Il secondo punto, le
prove.
Il rapporto del
capitano Fabroni e del maresciallo Capezzuto identificavano come prova decisiva
un anello con le iniziali G. C., cioè Gennaro Cuocolo, rinvenuto
nell'abitazione del Salvi, un anno dopo il delitto. Questa prova risultò falsa
in quanto fu, poi, stabilito che quelle iniziali furono apposte diverso tempo
dopo che il delitto era stato commesso.
Il terzo punto, le
testimonianze.
L'accusa presentò
tutti i testimoni come affidabilissimi e sinceri, mentre la difesa dimostrò,
senza ombra di dubbio, la loro assoluta inaffidabilità, i loro precedenti
penali e, addirittura la non presenza all'omicidio di un testimone oculare,
tale D'Agostino, il quale il giorno del delitto si trovava, invece, a Roma
presso la caserma del 13° reggimento di artiglieria a svolgere il servizio
militare.
Quindi, movente
inesistente; prove manipolate e/o create; corruzione di testimoni, da parte del
capitano Fabroni, detto
<<'O
masto Gruosso>>; intimidazione di
giudici e poliziotti. Tutti elementi che avrebbero dovuto concorrere, se non
all'annullamento del processo, all'assoluzione di tutti gli accusati, invece
con una maggioranza di otto giurati a favore e quattro contro, dopo 282
udienze, l'escussione di 652 testi e, dopo l'udienza fiume del capitano Fabroni,
durata 67 sedute con 530 pagine di verbali, alle 22,10 del 9 luglio del 1912
furono emesse le seguenti condanne:
30 anni per Sortino,
Salvi, Morra, Cerrato e Di Gennaro quali
esecutori materiali del delitto;
30 anni per Alfano, Rapi,
De Marinis quali mandanti;
25 anni e sei mesi a
De Matteo quale mandante;
9 anni per Ascrittore;
6 anni a Don Ciro Vittozzi (condannato anche a
versare,
insieme ad Ascrittore, 10.000 lire al De
Angelis ed
altrettante all'Amodeo);
5 anni a Fucci, Desiderio, De Lucia e altri
per associazione a
delinquere:
e svariate pene da 3
a 2 anni per gli altri.
Assolti Luigi Arena e
Luigi Ibello, più qualche imputato minore.
Giustizia /
ingiustizia era fatta.
Pochi mesi dopo il
verdetto del Tribunale di Viterbo, nell'ottobre del 1912, quei cocchieri, testi
dell'accusa, vennero denunciati per falsa testimonianza e, alcuni di loro,
arrestati.
I vari ricorsi dei
condannati, che si basavano sulla prova delle menzogne dei testi d'accusa,
furono tutti respinti. Il processo per falsa testimonianza dei cocchieri fu
ritardato e, poi, rimandato alla fine degli eventi bellici della seconda guerra
mondiale. Una volta finita la guerra ci si accorse che i reati di falsa
testimonianza si erano prescritti. Era chiaro che non si aveva alcuna
intenzione di rifare il processo. Questo avrebbe significato dimostrare, anche,
il comportamento arrogante dei carabinieri, i vari tentativi di corruzione da
questi effettuati e la fabbricazione di prove false. Accadde, però, che nel
maggio del 1927, Gennaro Abbatemaggio, consegnò all'avvocato Salomone, uno dei
23 avvocati difensori del processo Cuocolo, un memoriale nel quale ritrattava
tutte le accuse mosse, dichiarando di essere stato spinto a tanto dal
maresciallo Capezzuto. Non bastò per la revisione del processo e bisognò
attendere la concessione della grazia da parte di Mussolini. Il Duce ritenne
che, come il prefetto Mori aveva annientato la mafia, così Fabroni aveva
cancellato la camorra per cui, <<spaziando i
provvedimenti nel tempo>> tutti gli imputati furono rimessi in libertà.
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