venerdì 10 febbraio 2012

Revisionismo al contrario



Dukla, piccolo comune del distretto di Krosno nel Voivodato in Polonia. Ai più non dice nulla. In questo piccolo comune rurale, il 4 ottobre del 1898 nacque tale Jan Liwacz. Anche questo, ai soliti più,  dice poco o nulla. Allora, vediamo di essere più precisi. Arbeit macht frei , cioè  "Il lavoro rende liberi”. Questo dovrebbe dire molto di più. Infatti, la scritta "Arbeit macht frei" che sovrasta la cancellata d'ingresso del Campo di concentramento di Auschwitz, fu realizzata dall'internato Jan Liwacz, un fabbro detenuto nel campo di concentramento di Auschwitz. Jan fu arrestato il 16 ottobre 1939 a Bukowsko e  rinchiuso ad Auschwitz il 20 giugno 1940, col numero di campo 1010.  Se, anziché nascere a Dukla fosse nato a Napoli o nel relativo Regno, avrebbe scritto: “Laßt alle Hoffnung, die ihr eingeht”, cioè “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. Ma non ad Auschwitz, bensì a Fenestrelle, un comune italiano in provincia di Torino. A Fenestrelle o Fenestrele in piemontese, ma anche Finistrelas in lingua occitana, a circa 2000 metri d’altezza esiste una fortezza, al cui ingresso è scritto: "OGNUNO VALE NON IN QUANTO E' MA IN QUANTO PRODUCE".
“Uno dei più straordinari edifizi che possa aver mai immaginato un pittore di paesaggi fantastici: una sorta di gradinata titanica, come una cascata enorme di muraglie a scaglioni, un ammasso gigantesco e triste di costruzioni, che offriva non so che aspetto misto di sacro e di barbarico, come una necropoli guerresca o una rocca mostruosa, innalzata per arrestare un'invasione di popoli, o per contener col terrore milioni di ribelli. Una cosa strana, grande, bella davvero. Era la fortezza di Fenestrelle”.
Così scriveva il De Amicis, ed ancora,
“Sempre par di sentire ruggire di sotto le batterie, o di veder tra le casematte rimbalzar le granate degli assedianti sollevando tempeste di schegge, e soldati boccheggiar per le scale, e giù nella valle, e poi fianchi del monte, saltar in aria cassoni d'artiglieria, e masse di truppa sbaragliarsi urlando per i boschi, sparsi d'affusti stritolati e di membra umane» «Guardiano immobile e supremo della nostra indipendenza e del nostro onore”.

Onore, onore, onore, questa parola riecheggia nella nostra mente, nei nostri ricordi, nei ricordi dei figli del sud, dei figli del Regno delle Due Sicilie. Accade, però, che i liberatori, scopertisi occupanti, non ci stanno e contrappongono ad un revisionismo corretto e fatto di documenti e dichiarazioni ufficiali, fantomatiche fonti e deliranti sensazioni. Uno per tutti il prof. Alessandro Barbero, piemontese di Torino e prof. di storia  medievale, sempre a Torino. In base a documenti che, pare, nessuno abbia visto, incorona Tommaso Aniello d’Amalfi alias Masaniello, il progenitore dei camorristi e l’inventore del pizzo. Qualcuno dirà che quella di Masaniello e del cognato Maso Carrese, il  7 luglio 1647, fu una rivolta contro l’aumento delle e gabelle sulla frutta (nutrimento dei poveri)  voluto dal vicerè  Rodrigo Ponce de León  duca d'Arcos. Checché, la rivolta va inquadrata, secondo il Barbero, nel fatto che più tasse significavano meno soldi nelle tasche dei cittadini e, quindi, meno pizzo da estorcere. Il professor Barbero raggiunge l’apoteosi allorquando lascia trasparire che a Napoli, nel XIV secolo, esisteva ladrocinio e meretricio. Caro Barbero, hai forse dimenticato Francia ed Inghilterra? Ti sono, per caso, sfuggiti i lupanari dell’Impero romano? Poi, a giustificare i tratti di camorrista di Masaniello, l’erudito storico piemontese, chiama in causa Bernardina Pisa, moglie del pescivendolo d’Amalfi. Bernardina si prostituisce, così come la mamma di Masaniello che, quindi, è un volgare camorrista. Solo che Barbero, volutamente dimentica di dire che la Pisa si prostituisce dopo la morte di suo marito avvenuta il 16 luglio del 1647. Comunque si capisce bene che il docente di storia doveva dire quel che gli era stato ordinato dai revisionisti al contrario. Non contento, il Barbero, cerca di affondare la lama nel corpo straziato del meridione. Egli afferma che gente leale ad un giuramento (e per questo colpevole e degna d’essere rinchiusa nel Lager di Fenestrelle) nel loro periodo di prigionia erano dediti al gioco d’azzardo e pagavano il pizzo a loro connazionali leali e traditori allo stesso tempo. Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: con quali soldi? Chi forniva loro denaro? Forse qualche parente del Barbero? Ma il Barbero ha i documenti e forse anche le ricevute… Noi, invece, abbiamo documenti reali, che vi proponiamo allo scopo di dimostrare quali erano le effettive condizioni degli oltre 40.000 tra ufficiali, soldati e civili, di età compresa tra i 22 ed i 32 anni che non vollero giurare fedeltà ad un altro re.
Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni (deputato alla camera dal 1861)
Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?
 Generale La Marmora:
"… i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia…e quel che è più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perché non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che erano un branco di car…che avessimo trovato modo di metterli alla ragione".
Rivista Civiltà Cattolica:
 "Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie".
Revanscismo? Rigurgiti di nazionalismo? Niente di tutto questo, semplicemente l’affermazione di una verità scomoda che è, continuamente, stravolta da prezzolati tendenti a perpetrare un eccidio fisico e morale iniziato e mai finito. Ogni popolo, ogni uomo, ha diritto alla sua dignità e non può vedersela scippare ad ogni piè spinto. Milioni di napoletani, trucidati dai “liberatori” piemontesi, vagano nel limbo di un’invocata verità. Restituiamo a questi uomini il loro onore e la loro lealtà a quel giuramento fatto in forma solenne  e che ha impegnato le loro coscienze. Facciamolo in nome di un revisionismo non al contrario ma rispondente alla realtà dei fatti.

Dr. Alessandro Pellino 

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