Dukla, piccolo comune
del distretto di Krosno nel Voivodato in Polonia. Ai più non dice nulla. In
questo piccolo comune rurale, il 4 ottobre del 1898 nacque tale Jan Liwacz.
Anche questo, ai soliti più, dice poco o
nulla. Allora, vediamo di essere più precisi. Arbeit macht frei , cioè "Il lavoro rende liberi”. Questo dovrebbe
dire molto di più. Infatti, la scritta "Arbeit macht frei" che
sovrasta la cancellata d'ingresso del Campo di concentramento di Auschwitz, fu realizzata
dall'internato Jan Liwacz, un fabbro detenuto nel campo di concentramento di
Auschwitz. Jan fu arrestato il 16 ottobre 1939 a Bukowsko e rinchiuso ad Auschwitz il 20 giugno 1940, col
numero di campo 1010. Se, anziché
nascere a Dukla fosse nato a Napoli o nel relativo Regno, avrebbe scritto: “Laßt
alle Hoffnung, die ihr eingeht”, cioè “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”.
Ma non ad Auschwitz, bensì a Fenestrelle, un comune italiano in provincia di
Torino. A Fenestrelle o Fenestrele in piemontese, ma anche Finistrelas in lingua
occitana, a circa 2000 metri d’altezza esiste una fortezza, al cui ingresso è
scritto: "OGNUNO VALE NON IN QUANTO E' MA IN QUANTO PRODUCE".
“Uno dei più straordinari edifizi che
possa aver mai immaginato un pittore di paesaggi fantastici: una sorta di
gradinata titanica, come una cascata enorme di muraglie a scaglioni, un ammasso
gigantesco e triste di costruzioni, che offriva non so che aspetto misto di
sacro e di barbarico, come una necropoli guerresca o una rocca mostruosa,
innalzata per arrestare un'invasione di popoli, o per contener col terrore
milioni di ribelli. Una cosa strana, grande, bella davvero. Era la fortezza di
Fenestrelle”.
Così scriveva il De Amicis,
ed ancora,
“Sempre par di sentire ruggire di
sotto le batterie, o di veder tra le casematte rimbalzar le granate degli
assedianti sollevando tempeste di schegge, e soldati boccheggiar per le scale,
e giù nella valle, e poi fianchi del monte, saltar in aria cassoni
d'artiglieria, e masse di truppa sbaragliarsi urlando per i boschi, sparsi
d'affusti stritolati e di membra umane» «Guardiano immobile e supremo della
nostra indipendenza e del nostro onore”.
Onore, onore, onore, questa parola riecheggia
nella nostra mente, nei nostri ricordi, nei ricordi dei figli del sud, dei
figli del Regno delle Due Sicilie. Accade, però, che i liberatori, scopertisi
occupanti, non ci stanno e contrappongono ad un revisionismo corretto e fatto
di documenti e dichiarazioni ufficiali, fantomatiche fonti e deliranti sensazioni.
Uno per tutti il prof. Alessandro Barbero, piemontese di Torino e prof. di
storia medievale, sempre a Torino. In
base a documenti che, pare, nessuno abbia visto, incorona Tommaso Aniello
d’Amalfi alias Masaniello, il progenitore dei camorristi e l’inventore del
pizzo. Qualcuno dirà che quella di Masaniello e del cognato Maso Carrese, il 7 luglio 1647, fu una rivolta contro l’aumento
delle e gabelle sulla frutta (nutrimento dei poveri) voluto dal vicerè Rodrigo Ponce de León duca d'Arcos. Checché, la rivolta va
inquadrata, secondo il Barbero, nel fatto che più tasse significavano meno
soldi nelle tasche dei cittadini e, quindi, meno pizzo da estorcere. Il
professor Barbero raggiunge l’apoteosi allorquando lascia trasparire che a
Napoli, nel XIV secolo, esisteva ladrocinio e meretricio. Caro Barbero, hai
forse dimenticato Francia ed Inghilterra? Ti sono, per caso, sfuggiti i
lupanari dell’Impero romano? Poi, a giustificare i tratti di camorrista di
Masaniello, l’erudito storico piemontese, chiama in causa Bernardina Pisa,
moglie del pescivendolo d’Amalfi. Bernardina si prostituisce, così come la
mamma di Masaniello che, quindi, è un volgare camorrista. Solo che Barbero,
volutamente dimentica di dire che la Pisa si prostituisce dopo la morte di suo marito
avvenuta il 16 luglio del 1647. Comunque si capisce bene che il docente di
storia doveva dire quel che gli era stato ordinato dai revisionisti al
contrario. Non contento, il Barbero, cerca di affondare la lama nel corpo
straziato del meridione. Egli afferma che gente leale ad un giuramento (e per
questo colpevole e degna d’essere rinchiusa nel Lager di Fenestrelle) nel loro
periodo di prigionia erano dediti al gioco d’azzardo e pagavano il pizzo a loro
connazionali leali e traditori allo stesso tempo. Una domanda, a questo punto,
sorge spontanea: con quali soldi? Chi forniva loro denaro? Forse qualche
parente del Barbero? Ma il Barbero ha i documenti e forse anche le ricevute…
Noi, invece, abbiamo documenti reali, che vi proponiamo allo scopo di dimostrare
quali erano le effettive condizioni degli oltre 40.000 tra ufficiali, soldati e
civili, di età compresa tra i 22 ed i 32 anni che non vollero giurare fedeltà
ad un altro re.
Francesco Proto Carafa, duca
di Maddaloni (deputato alla camera dal 1861)
Ma che dico di un governo che strappa
dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per
il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a
vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del
Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese
abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la
fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?
Generale La Marmora:
"… i prigionieri napoletani
dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non arriveranno
a 100 quelli che acconsentono a prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna
e di verminia…e quel che è più dimostrano avversione a prendere da noi servizio.
Jeri a taluni che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa
perché non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a
Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati,
e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che
erano un branco di car…che avessimo trovato modo di metterli alla
ragione".
Rivista Civiltà Cattolica:
"Per vincere la resistenza dei
prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso
ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena
coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con
cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide
casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle
Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due
Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimare di
fame e di stento per le ghiacciaie".
Revanscismo?
Rigurgiti di nazionalismo? Niente di tutto questo, semplicemente l’affermazione
di una verità scomoda che è, continuamente, stravolta da prezzolati tendenti a
perpetrare un eccidio fisico e morale iniziato e mai finito. Ogni popolo, ogni
uomo, ha diritto alla sua dignità e non può vedersela scippare ad ogni piè
spinto. Milioni di napoletani, trucidati dai “liberatori” piemontesi, vagano
nel limbo di un’invocata verità. Restituiamo a questi uomini il loro onore e la
loro lealtà a quel giuramento fatto in forma solenne e che ha impegnato le loro coscienze.
Facciamolo in nome di un revisionismo non al contrario ma rispondente alla
realtà dei fatti.
Dr.
Alessandro Pellino
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